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Se
le stelle si fanno scorgere attraverso la loro magnitudine, Girolamo Grammatico
è a testa in su e sollevando l’indice verso di loro ce le illustra, le colloca
nello spazio e nel tempo e come solo un astrologo saprebbe fare, ci avvicina a
loro e ce ne restituisce il senso. E qual è il senso più profondo se non lo
spettacolo di saper dare un nome a chi non ce l’ha, di saper restituire una
posizione di privilegio a chi viene considerato ultimo? Il risultato è
esilarante; è lo
show che si può
compiere in una notte d’estate. E se le stelle fossero portate qui sulla terra,
tra di noi, per le vie di una città, Girolamo Grammatico potrebbe definirsi
“l’operatore poeta” che ci racconta come tra i marciapiedi si può brillare. La
luce, dalla più intensa a quella più tenue, non si arrende, buca il buio fino a
quando c’è quel briciolo di umanità che consente di fermarsi, osservare,
ri-conoscere. Facile sarebbe voltare lo sguardo e proseguire dritti. E invece
no, Girolamo Grammatico attraverso le sue poesie ci inchioda di fronte al
firmamento terrestre e ci fa capire con forza qual è la linea sottile che c’è
tra il valore della povertà e la desolazione della miseria.
Sono
passati diversi anni da quando conobbi Girolamo Grammatico. Sarà stato il 2005,
forse il 2006; c’era ancora il Myspace e
non era ancora arrivato per noi il tempo di Facebook,
le giornate si riempivano dei colori di lavori sociali che mettevano le radici
nei concetti di pace e diritti umani. C’era, già allora, un mondo di poesia in
via di esplosione e arrivò per Girolamo il tempo di pubblicare “Poesie senza
Asdl” con Perrone editore. C’erano serate con amici che provenivano da ogni
parte d’Italia e c’erano iniziative che tuttora proseguono come “Citofonare Interno
7”. C’erano dipinti come quelli di Cristiano Peluso, le recensioni di Rossano
Astremo e melodie di vari artisti che ora padroneggiano il panorama musicale
nazionale. E c’erano i suoi occhi azzurri e profondi che già sprigionavano il
desiderio di restituire sogni e dignità a chi li aveva perduti. Oggi, tra le
pagine de “La magnitudine dell’indigenza” (l’Erudita edizioni) trovo la
realizzazione di un percorso compiuto seppur in evoluzione. Amo definire
Girolamo Grammatico “scrittore di strada” perché immagino i suoi passi lenti e
rispettosi tra i cartoni stesi sull’asfalto, il suo cuore attento a percepire e
restituire emozioni, la sua mente impegnata a farsi domande più che a celebrare
risposte. “Girolamo, che cosa sono i sogni?” mi verrebbe da chiedergli. Poi continuo
a leggere le sue parole precise, selezionate, pungenti e capisco che forse i
sogni sono cose semplici: granelli di sabbia, un bicchiere di vino, un sorriso.
Ma i sogni sono anche cose parecchio complesse, che a volte diamo per scontate,
a volte addirittura le abbiamo a portata di mano e non sappiamo afferrarle: la
certezza di un caffè caldo domani mattina appena svegli, la realizzazione di
una famiglia, la possibilità di riabbracciare un amico. Domenica 28 gennaio
alle 17 e 30 alla Biblioteca di San Matteo degli Armeni di Perugia avrò modo di
parlare con l’autore del suo libro “La Magnitudine dell’Indigenza” e di molto
altro e sono sicura che gli dirò: “Scusa, Girolamo, prima di andare via, prima
di riprendere il treno e ritornare a Roma, ancora un attimo: spiegami, per
favore, per cosa vale davvero la pena lottare?”. Immagino il suo volto, il suo
sguardo e sento la sua voce dall’accento vagamente siciliano, che mi dice: “…voglio
lottare, per una parola nascosta dietro il cemento dell’ignoranza seduto
sull’uscio dei miei sogni anche oggi”.
Floriana
Lenti
Pubblicato su ViewPoint Italy