sabato 19 marzo 2016

“La melodia dei perdenti” di Simone Pagiotti


Vero, graffiante e a tratti arrogante è “La melodia dei perdenti”, romanzo d’esordio di Simone Pagiotti. Ambientato a Perugia dà al lettore occhi nuovi per scrutare le strade, i vicoli e le campagne; ma anche per rivedere atteggiamenti, usi e costumi dei giovani umbri. Vi è un esplicito ed amaro elogio della provincia, della sobrietà dello stare distanti, senza nemmeno il segnale del cellulare. Stilisticamente scorrevole, lascia il passo ad espressioni forti, ad aneddoti bollenti, non ci sono giri di parole per descrivere frustrazione, angoscia e solitudine: i sentimenti predominanti del protagonista che si ritrova trentenne senza niente. Lasciato dalla fidanzata prima del matrimonio, licenziato bruscamente dal lavoro, isolato da vari contesti sociali (volutamente e non). Perdere tutto. E cosa significa? Chi è perdente? Forse chi non brama di ostentare felicità e benessere? Oppure chi è costretto ad accettare una condizione di vita che non immaginava di vivere? Ce lo chiediamo tutti. Ognuno ha il proprio punto di vista, ma perdere, ne “La melodia dei perdenti”, assume un valore assoluto, è saper lasciare alle spalle quello che fa male, che porta a vagare nell’effimero, nelle serate alcoliche, nelle liti, nelle relazioni sessuali anche poco gratificanti. Perdere è dunque rinascere. Il protagonista lo fa ripartendo dalle sue radici, dai nonni e dalla vita in campagna. I personaggi, contenutisticamente parlando, hanno tutti un profilo definito, sembra alla fine di conoscerli personalmente. Anche il gatto, fedele, assume un ruolo dominante. A legare, a mettere insieme la prima e la seconda parte del romanzo, scritte in momenti diversi della vita dell’autore, è il fischiettare instancabile del nonno. Si sente, si riconosce e si segue dall’inizio fino all’ultima pagina.



Floriana Lenti


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