martedì 13 gennaio 2015

Intervista a Peppe Voltarelli


Quando ci s’imbatte in artisti come Peppe Voltarelli si scopre il ritratto di sonorità pronte a dipingere culture e tradizioni con una prospettiva nuova, mai vista, pur avendola avuta sotto gli occhi da sempre. Sorge in modo naturale la necessità di fermarsi e fermare tutto, di riflettere sull’arte, di osservare l’intreccio magico e giocoso della mescolanza come valore e la necessità della santificazione delle proprie radici culturali. L’ultimo album del cantautore e autore calabrese, più dei precedenti, è un pensiero sulla solitudine che genera la rincorsa al successo, è un inno serio e sorridente sul senso di povertà.
Provate ad accendere un computer, digitate su qualsiasi motore di ricerca il suo nome Peppe Voltarelli, andate ad ascoltare un suo brano. Dopo prendete un foglio bianco e scrivete a casaccio parole semplici come "frutta, verdura, statue e solitudini…". Collegate ora le parole a vostro piacimento, seguendo il ritmo della canzone in sottofondo, facendovi trasportare dalla melodia, non perdendo mai di vista i possibili orizzonti. Ne verranno fuori nuove mappe, infiniti percorsi che raccontano una Calabria in grado di attraversare i confini e addirittura gli Oceani. Peppe Voltarelli, noto in Italia e nel mondo, premiato numerose volte dal Club Tenco, sarà ospite al Bad King di Perugia mercoledì 14 gennaio alle 21:30. Il concerto, fortemente voluto dal direttore artistico Antonio Ballarano, è il fiore all’occhiello di una programmazione ricca di novità e di interessanti proposte.
Come si svolgerà la serata al Bad King?
Ho in mente di realizzare uno spettacolo fatto di musica e parole. Le parti parlate saranno tratte dal romanzo ‘Il caciocavallo di bronzo’ (Stampa Alernativa), un lavoro autobiografico narrato e 'suonato' tra le righe delle diciannove storie, dove versi di canzoni rappresentano la vera punteggiatura del racconto. E i brani cantati, due in calabrese e tutti gli altri in italiano, saranno quelli dell’album ‘Lamentarsi come ipotesi’.
Da pochi mesi una casa discografica americana sta promuovendo la tua musica in tutto il mondo…
Sì, diciamo che è un po’ come avere una doppia vita. Nel 2010 con la Targa Tenco l’album ‘Ultima notte a Malà Strana’ è stato premiato come Miglior Album in Dialetto, il primo disco in calabrese a ricevere tale onorificenza. La casa discografica francese ‘Le Chant du Monde’ ha distribuito, da quel momento, il mio lavoro in tutta l’Europa e l’etichetta ‘Los Anos Luz’ ha portato l’album in Argentina. Adesso il viaggio continua. Il 21 gennaio, infatti, partirò per una tournée in Germania e il 7 marzo sarò a Praga ospite di Michal Horáček e faremo insieme due concerti in un giorno.
Ricevere la Targa Tenco cosa ha rappresentato?
E’ stata una grande soddisfazione perché mi ha confermato quanto possa essere importante il dialetto, mi ha fatto comprendere più in profondità come una lingua possa ridare una nuova faccia ad una terra, una faccia diversa dagli stereotipi. Ricevere un riconoscimento dal Premio Tenco è un bollino di qualità che mi ha anche permesso di conoscere e collaborare con grandi artisti di spessore. E’ un’esperienza di vita che sicuramente arricchisce.
Quali sono gli artisti a cui ti ispiri?
Ho dei punti di riferimento molto chiari: Domenico Modugno, Otello Profazio, Matteo Salvatore, Sergio Endrigo. Autori che hanno saputo legare la musica alle parole e che hanno raccontato l’Italia in modo poetico, realistico e singolare. Nel 2001 ho ideato il recital ‘Voleva fare l’artista’ per raccontare il grande Modugno ed ho scoperto linee comuni nei nostri percorsi artistici compreso il desiderio di poter vivere di musica.
Un passo indietro. La tua carriera ha avuto inizio nel 1990 con il ‘Parto delle nuvole pesanti’. Com’è scaturita la decisione di uscire dal gruppo e iniziare la carriera da solista?
Il gruppo è una realtà in cui ci si può formare, è una seconda famiglia. Poi però arriva un momento in cui i rapporti vengono messi in discussione e i percorsi si separano. Il cantante, nello specifico, ha una visione da finalizzatore, e ad un certo punto ho avvertito l’esigenza di diventare artefice di me stesso. Il gruppo ti protegge, ma non ti permette di scegliere nuove strade. Ho perso un po’ di amici, ma in cambio ora posso muovermi da solo e decidere come impostare gli spettacoli. E’ interessante anche riuscire a diventare originale e dunque fonte d’ispirazione per le nuove generazioni. Ho iniziato a raccontare l’amore e i sentimenti partendo dalle esperienze, in modo naturale e spontaneo. Diciamo che adesso scrivo solo se provocato…
La perdita di Pino Daniele ha scosso il mondo della musica, ha lasciato il vuoto nel cuore degli italiani, ha destabilizzato soprattutto il Sud Italia…
Nella mia adolescenza ha rappresentato l’idea di un Sud che si riscatta con coraggio. Suonando la chitarra ho iniziato a imparare le canzoni di Pino. Secondo me l’album ‘Bella ‘Mbriana’ è il riassunto della nostra società. E’ singolare, poi, come all’età di 25 anni Pino Daniele avesse già detto tutto. Non era solo un fenomeno musicale, ma un manifesto politico. Lo sento al mio fianco e lo porterò nel cuore al Bad King e in tutti i concerti che farò.


Floriana Lenti

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